BLOG - LA MUSICA CON GIULIA

Musica: 5 miti da sfatare

Sei lì, ti vedo. Ogni volta che vedi un musicista in tivù o su YouTube ti brillano gli occhi. Sei terribilmente affascinato dal mondo della musica, dall’incantesimo che trasforma qualche segno sulla carta in un arcobaleno di emozioni. Sembra così semplice quello che fanno dietro ai loro strumenti, ma chissà… chissà quanti anni di studio, chissà quali sacrifici in gioventù, quante rinunce ai pomeriggi con gli amici per ripassare il brano per la lezione del giorno dopo… non sei sicuro di poter appartenere a quel genere di persone. Oppure sei motivato, senti una vocazione fortissima, ma temi di non avere più la freschezza necessaria a tirare fuori dalle tue ore di impegno la soddisfazione di suonare quel brano che tanto ti piace cantare, che ti fa stare così bene. O ancora, magari ci hai provato da piccolo, i tuoi genitori ti avevano iscritto a quella scuola di musica, eri così entusiasta, ma alla fine hai desistito: troppo difficile, non fa per te, la scuola è più importante. E ora ti sorge il dubbio di aver rinunciato ad un’occasione che al tempo non hai saputo apprezzare. 

Ti senti in colpa per aver mollato. Insicuro delle tue capacità. Ti sembra di essere di fronte ad una muraglia inespugnabile, oltre alla quale stanno loro, quelli che hanno ascoltato la loro passione, al di là di tutto e tutti.

Ti capisco.

Ma nulla è irrecuperabile.

E credimi se ti dico che, se avrai il coraggio di avvicinarti a quella muraglia, e a scalarla senza fretta e senza sosta, alla fine ti ritroverai dall’altra parte.

Ma che cosa c’è “dall’altra parte della muraglia”?

MITO DA SFATARE NR. 1: “IL MONDO DEI MUSICISTI È UN MONDO A PARTE”

Ogni volta che veniva ad un mio saggio e vedeva me e i miei compagni di Conservatorio me lo diceva sempre: “siete un mondo a parte”. Sapevo che almeno in parte era verità: non tutti gli adolescenti dopo una mattinata di scuola si chiudono in un’altra scuola, passando ore a cercare di dare nuova vita a musica scritta secoli fa! 

In fondo al mio cuore, però, sentivo la pericolosità di questa affermazione: è un concetto antico, romantico, affascinante, ma ha un enorme potere. Quello di allontanare.

Allontanare il pubblico dal palcoscenico, l’amatore dal professionista, lo studente di Conservatorio dai suoi amici non musicisti; trasformare il mondo della musica “classica” in un pezzo da museo impolverato.

Da bambina ascoltavo Schubert e i miei compagni di classe mi guardavano come se venissi da Marte (giustamente, che diavolo ci fa una bambina di dieci anni con la “Tragica” di Schubert?). Da allora non mi sono mai stancata di cercare il motivo di questa distanza. Le fondamenta della muraglia.

Sono arrivata alla conclusione che pubblico e musicisti siano vittime di una reciproca diffidenza, generata secoli fa e rafforzata da tutta una letteratura di romanzi e film: il musicista vive della sua musica, ha la testa fra le nuvole, vive alla giornata, ha tanto tempo libero per darsi ai peggiori vizi e vive sostanzialmente come un emarginato perché nessuna persona sana di mente vorrebbe vivere così. E il pubblico non si sforza di capirlo perché pensa solo a lavorare per guadagnare, va a teatro solo per indossare l’abito da sera e dopo il terzo minuto di musica non presta attenzione, si annoia e non vede l’ora che lo strazio finisca.

Mentre scrivo mi viene da ridere, perché io, musicista convinta dall’età di nove anni, a volte mi sono annoiata davvero tanto a teatro. E sì, sono andata ad una recita di Traviata solo perché mi aveva invitato un amico. E ho rifuggito le serate di commenti post-concerto perché mi annoiavano e volevo solo andare a casa a giocare all’Xbox.

E, dall’altra parte, un amico che non ha mai provato alcuna spinta per la musica si è trovato ad asciugarsi le lacrime di commozione dopo aver assistito ad una prova in cui cantavo un madrigale di Monteverdi (ancora più decrepito di Schubert, pensa!).

Sarebbe fantastico se riuscissimo (non dico sempre, siamo pur sempre umani ed egocentrici, soprattutto i musicisti, ma almeno qualche volta) ad abbattere questa barriera. Ne troveremmo giovamento entrambi: avremmo dei musicisti meno alieni, un pubblico che usa l’orlo dell’abito lungo per asciugarsi le lacrime alla metà di una sinfonia, e compositori sottoterra liberi di mantenere una posizione senza doversi rivoltare.

Ci vogliono solo un po’ pazienza, tatto, sensibilità, ma soprattutto una buona dose di autoironia. Ce la possiamo fare.

MITO DA SFATARE NR. 2: “NON HO MAI STUDIATO MUSICA PERCHÉ È DIFFICILE” con la variazione “QUANDO STUDIAVO MUSICA ALLE MEDIE NON ERO BRAVO”

Ho iniziato da poco a praticare yoga. Dicono che faccia bene a chi ha problemi alla schiena (eccomi!) e che favorisca la concentrazione. Perciò ho iniziato a seguire sui social alcuni canali di yoga, per entrare un po’ più in questo mondo così distante dallo stile di vita occidentale. Quello che apprezzo di più di alcuni di questi profili è l’abbondanza di frasi motivazionali e citazioni: delle vere pillole di buonumore. Una di queste recita: “Dire che non sei abbastanza elastico per praticare yoga è come dire che sei troppo sporco per farti la doccia.”.

Quante volte non proviamo nemmeno ad avvicinarci a qualcosa perché ci sentiamo “troppo poco”? Tante quante le occasioni che non cogliamo. E lo yoga è un classico per quanto riguarda le occasioni perse: è una roba da hippie, è faticoso, non ho tempo per quei dieci minuti di esercizi di respirazione, non riuscirò mai a tenere l’equilibrio in quella posizione… quanti bastoni infiliamo nelle nostre stesse ruote ancor prima di muoverci!

Voglio rassicurarti: se alle medie non eri bravo in educazione musicale sei in ottima compagnia. Nessuno è bravo a suonare il flauto dolce, tranne chi suona il flauto dolce perché gli piace. È proprio qui la chiave: per riuscire in qualcosa devi avere la maturità di approcciartici nel modo giusto e soprattutto provare piacere. 

La musica è una componente naturale dell’uomo: se riusciamo a ballare o a battere le mani a tempo è perché siamo “diretti” dal battito cardiaco, che agisce come un metronomo nel nostro corpo. Oppure pensiamo ai balbuzienti che possono imparare a parlare fluentemente “cantando” le parole. Senza parlare del fatto che suonavamo da molto prima che inventassero la musica, ci inventavamo di tutto, anche picchiare le noci di cocco, pur di suonare. Che cosa rischi di scoprire delle tue capacità concedendoti una possibilità?

Ecco il nocciolo della questione: studiare musica non è difficile; è complesso. Il che significa che suonare non è impossibile, si tratta solo di una successione ordinata e continuativa di tanti piccoli obiettivi raggiunti, giorno dopo giorno. Poi, certo, ci vuole la passione. Ma se stai leggendo questo articolo credo tu non debba farti ulteriori domande al riguardo.

MITO DA SFATARE NR. 3: “MI PIACEREBBE, MA NON HO COSTANZA”

La costanza: una dote meravigliosa.

Una dote? Siamo proprio sicuri?

Una dote è un talento, un qualcosa che ci nasci così, non ci puoi fare nulla, o ce l’hai o non ce l’hai, per esempio io ho la dote di non riuscire a farmi piacere la cucina quindi brucio impeccabilmente qualsiasi cosa mi inventi (cioè mi sforzi) di preparare.

Le doti che ti servono per studiare musica sono un minimo di sensibilità ai suoni e saper fare le addizioni e le divisioni.

La costanza è una competenza, così come la sua compagna: l’autodisciplina. Una competenza va allenata instancabilmente perché si trasformi in uno strumento prezioso ai nostri obiettivi, che non devono per forza essere solo musicali! Hai mai notato come ci sentiamo bene e come migliori la nostra autostima quando riusciamo a portare a termine qualcosa che ci siamo dovuti imporre di fare, perché magari non ne avevamo la voglia, o eravamo stanchi di rimandare? Ci sentiamo liberi e soddisfatti, e sentiamo quella vocina dentro di noi che ci dice “non era così difficile, no?”.

Questo succede perché quando prendiamo il controllo di noi stessi e piena consapevolezza di ciò che abbiamo scelto di fare, e di aver scelto di farlo ora, in questo momento, e non “quando avremo voglia o tempo”, abbiamo il timone della nostra giornata, della nostra vita. Ci fa sentire adulti, responsabili, la mamma sarebbe fiera di noi, no? Ed è tutto a meno di un passo da noi: basta volerlo.

Con questo non ti sto dicendo che tutti possiamo sfondare e vincere Sanremo o diventare celebri solisti, se così fosse ti starei prendendo in giro. Ma la musica è un’arte più vicina di quanto pensi, e per goderne in modo soddisfacente e consapevole non serve strafare, rinchiudersi in casa ore e ore ogni giorno, studiare quintali di manuali o imparare a memoria tutte le opere di Rossini. Se hai una passione per la musica ti basterà calibrare i tuoi obiettivi in base a quanto riesci a fare e a quanto tempo vuoi (e, solo conseguentemente, puoi) dedicarle. Siano anche venti minuti al giorno, otterrai sempre di più che rimuginandoci e sospirare.

MITO DA SFATARE NR. 4: “SONO TROPPO VECCHIO PER STUDIARE MUSICA”

Un altro grande classico. Non so quale sia il tuo anno di nascita ma se hai più di cinque anni e sei ancora in grado di leggere e capire quello che ti sto scrivendo allora ho una buona notizia per te: sei in tempo!

Molto spesso la convinzione che sia indispensabile iniziare lo studio della musica da giovanissimi deriva dal fatto che la stragrande maggioranza degli allievi di musica frequenti la scuola elementare o media. Se da un lato è innegabile che un bambino sia più ricettivo, abbia più tempo libero (anche se su questo punto avrei da discutere), dall’altro siamo davvero sicuri che la musica sia off-limits per gli adulti?

La musica esige fantasia, che non è esclusiva dei bambini.

La musica esige costanza, che non è decisamente prerogativa dei bambini.

La musica esige rispetto: un concetto un po’ complicato da spiegare ad una mente troppo giovane.

Mi meraviglio ogni volta che faccio conoscenza con signori di una certa maturità, magari in pensione, che decidono di donarsi alla comunità prestando il proprio servizio nella banda di paese, alimentando giorno dopo giorno il proprio entusiasmo e ricevendo in cambio enorme soddisfazione. È proprio il loro spirito che mi ha spinta, a quasi trent’anni dei quali circa venti dedicati alla musica classica e al violino, ad iscrivermi al corso di trombone presso la banda cittadina. Da musicista non riesco ad immaginare due strumenti più lontani come il trombone ed il violino. Eppure il fatto di studiare “da capo”, imparando le basi di come si suona uno di quegli strumenti che in orchestra chiamiamo affettuosamente “artiglieria pesante”, partendo dallo stesso livello di un bimbo di otto anni non mi fa sentire troppo vecchia per imparare. Anzi, in alcune cose mi sento agevolata, ma non dalla mia precedente formazione musicale; il fatto di organizzare lo studio da sola, da adulta, trovando una mezz’ora per imparare un arpeggio o un piccolo motivetto mi rende conscia di quanto, a volte, l’età giochi a nostro favore. E rende tutto più autentico, più bello, perché è una nostra scelta, un nostro prezioso momento per noi, per il nostro cuore, che è molto di più di un’attività alla quale ci ha avviato qualcun altro al nostro posto.

I tempi di apprendimento possono essere più dilatati, anche se ciò non è assolutamente scontato.

E non temete, non dovrete colorare le figure o suonare per forza “La marcia di Topolino”, esistono anche metodi per adulti.

MITO DA SFATARE NR. 5: “LA MUSICA CLASSICA È NOIOSA”

Ogni volta che sento questa affermazione non so se ridere o piangere. Ma di solito rido, perché mi viene in mente quella vecchia pubblicità del tè. Hai presente, no? L’intenditrice piaciona e un po’ snob che si siede al tavolo del direttore d’orchestra e con un fascinoso gioco di sguardi cerca di rubare al capelluto maestro il “suo segreto”; il tenebroso direttore che, avvolto nel suo elegantissimo frac rivela la “forza della lucidità” che solo quel tè sa donare…

Ecco a che cosa mi riferisco quando dico che ormai queste barriere tra palco e platea sono ammuffite e dovrebbero semplicemente cadere, una buona volta. Sarei davvero curiosa di sapere da chi sostiene che la musica classica sia “noiosa” quale musica classica abbia ascoltato. Perché se parliamo di un’opera di Wagner non posso dargli torto. Ma tutto il resto? Gli altri cinque secoli di musica? Sarebbe un po’ come dire che l’arte non fa per te dopo aver visto una mostra d’arte moderna: e Canova? Caravaggio? Van Gogh? Monet?

L’aggravante, se così la possiamo chiamare, a questa pruriginosa affermazione è che la musica, rispetto alle altre arti, è decisamente la più immediata, perché parla, o meglio, canta. Non conosce traduzioni, semplicemente È, si impone al nostro orecchio, arrogante e meravigliosa. E come tutte le arti, la letteratura, gli stili di vita, rispecchia l’epoca in cui è stata scritta attraverso la mente di chi l’ha concepita. È come un viaggio dentro la testa di qualcuno vissuto secoli fa, che prende vita in questo istante, qui ed ora. Un quadro, una scultura, un romanzo, una fotografia è una preziosissima reminescenza del passato; la musica è la rinascita continua di quella reminescenza.

Cinque secoli di musica: una ricchezza inestimabile. E parlo solo di ciò che ci è arrivato sotto forma di fonti scritte! Se qualcuno mi dicesse che Monteverdi lo annoia come Verdi, che Mozart non gli dice nulla di più di Debussy, che il miracolo della Nona Sinfonia di Beethoven non lo tange, beh, quantomeno direi che parla con cognizione di causa. Ma se quel qualcuno mi dicesse che non ascolta musica classica perché gli sembra “una cosa da esperti” gli direi con le palpitazioni che non serve una cultura sterminata per poter apprezzare una sinfonia, un’opera, una cantata, un quartetto d’archi! 

La musica non è stata scritta per “gli esperti”: Bach scriveva per i fedeli protestanti che non conoscevano il latino. Beethoven ha scritto la Sinfonia “Eroica” in uno slancio di entusiasmo per la Rivoluzione Francese (la Bastiglia non è stata certo presa da “esperti” incipriati). Shostakovich ha scritto per il popolo sovietico. Paganini si esibiva di fronte a chiunque restasse affascinato dal suo virtuosismo, senza distinzione di ceto o cultura.

Non vorrei sembrare una hippie fuori tempo se ti dico, con gli occhi lucidi, che la musica vuole unire, non dividere. È nata prima del tempo per questo scopo, quando i Sapiens picchiavano le noci di cocco, e porterà avanti questa missione per sempre. Io vorrei darle una mano. Insomma, capitemi, ci pago le bollette con la musica, e campo pure felice. Le devo un po’ di riconoscenza. 

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